Olaf Breuning (Sciaffusa, 1970) vive e lavora a New York, ha un palmarès di mostre di livello internazionale di tutto rispetto; nella sua prima personale in Italia, espone quattro fotografie di grande formato (tra cui Don’t worry, realizzata per l’occasione nel grande formato esposto), una scultura e cinque disegni a china. Un artista poliedrico capace di cimentarsi con i più svariati medium (dalla fotografia alla sabbia, passando per il disegno, il video, la scultura e le grandi installazioni).
Uno degli aspetti che emerge più evidente da questa mostra è la satira sfacciata con cui l’artista si rivolge alla società contemporanea, inscenando delle pantomime anche molto dirette: This Time Will Work, 2007, è un disegno in cui si mettono in scena una serie di espedienti atti a portare a termine propositi suicidi; Don’t worry presenta una scarpa, sulla quale è stampigliata la scritta che dà titolo all’opera, che sta per schiacciare una moltitudine di pupazzetti, chiara metafora di un’umanità distratta e sopraffatta.
L’altro aspetto che balza all’occhio è la varietà dei profili formali dei lavori. Questi spaziano dalla lineare pulizia e semplicità dei disegni e della scultura alle fotografie, cariche di particolari e di carattere espressionista.
La scultura, riflettendo sul proprio acciaio lucido l’ambiente circostante, potrebbe fungere da raccordo tra la nettezza minimale delle chine e l’aggressiva abbondanza con cui le fotografie si rivolgono spassionatamente allo spettatore.
Nelle opere fotografiche si fondono richiami alla cultura artistica di lingua tedesca e a quella di lingua americana: emerge, ad esempio, un’asprezza rappresentativa debitrice della Nuova Oggettività e il gusto per la fastidiosa teatralità delle installazioni ambientali di Kienholz.
La fotografia che ha lo stesso titolo della mostra, We Are All in the Same Boat, 2018, raffigura un gruppo di sette persone, rappresentanti vari tipi umani e culturali che fissano con sguardi ottusi lo spettatore; in You Can’t Teach Old Dogs New Tricks, 2018, appoggiati ad un pick-up scuro, sei moderni selvaggi in tenuta da lavoro, travestiti con dettagli animaleschi e con i volti nascosti da sovrimpressioni di musi canini, mettono in scena tutto l’abbrutimento di un lavoro ingrato, sottopagato e omologante.
Sono, tutte, opere molto dirette, che più che suscitare domande offrono risposte o umoristiche interpretazioni di aspetti sociali contemporanei.
Una mostra che, scontando un allestimento che ha scelto di accogliere più di una tipologia del lavoro di Breuning, purtroppo senza la necessaria ampiezza, procede faticosamente/caoticamente, non permettendo al fruitore, o meglio, al suo occhio, di passare con adeguata preparazione dalla sobrietà di un disegno, che ha assimilato l’idea di linea e di forma chiusa, all’opulenza delle immagini fotografiche per il tramite delle sculture che, come si è detto, caricandosi delle immagini dello spazio circostante avrebbero permesso allo sguardo di prepararsi ad una visione via via più ricca di elementi. Così ci si disperde e l’esposizione perde non solo il peso del colore.
Galleria Poggiali Milano – 30 gennaio 2020 ¦ 28 marzo 2020
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