Il frutto della ricerca artistica più recente di Michele Ciacciofera (Nuoro, 1969, vive a Parigi) è esposto in una mostra dal titolo impegnativo “Condensare l’infinito” in due sedi (o “capitoli”) a Milano (Building Gallery, fino al 17 febbraio, a cura di Angelo Crespi) e a Gallarate (Maga, fino al 7 aprile, a cura di Alessandro Castiglioni), con un’appendice allestita all’interno delle vip lounge del Terminal 1 dell’aeroporto di Malpensa.
A Milano, un allestimento minimale per poche opere: nove sculture in colorato vetro soffiato di Murano (realizzate con la storica vetreria veneziana Seguso), la serie Tales of the floating world, 2019; un dipinto di ragguardevoli dimensioni, The translucent skin of the present, 2015-2016 cui si aggiungono due piccoli quadri (matita e gouache) raffiguranti meduse che fluttuano su un fondo monocromo. Questi ultimi due lavori si direbbe abbiano lo scopo unico di sottolineare agli spettatori l’ambientazione marina in cui la storia si svolge. Il testo sotteso è, infatti, quello dell’origine della vita dall’acqua. L’origine del percorso espositivo è invece situata nel grande dipinto posto in posizione dominante: al centro di un fondale sabbioso stanno, a formare un triangolo, tre sassi e una conchiglia di San Giacomo che, poggiata ad una delle pietre, segna il vertice del triangolo rivolto verso lo spettatore; la semplicità ed elementarità di un dipinto attestato su tonalità, se non estinte, pallide e silenziose sono riscattate dalla particolarità della tecnica esecutiva che prevede una serie di passaggi (effettuati per 365 giorni) di pittura ad acqua che, asciugatasi, ha depositato un sottile strato di calcare sulla tela. Questo processo di stratificazione risulta in un leggero effetto distorsivo che richiama quello che la vista subisce traguardando un’acqua diafana. Una sottile piacevolezza per l’occhio.
Da illusione pittorica questo sguardo ‘(at)traverso’ si fa esperienza effettiva quando ci si rivolge alle ornamentali sculture e si scopre che il fondo del mare è popolato anche da animali e altre rocce traslucenti e tenuamente sfumate come se pietre preziose e ambre si fossero disciolte in acque purissime per poi cristallizzarsi in una teoria di falliche stalagmiti, uterine fogge ovoidali e ricordi zoomorfi.
Formalmente è proprio l’effetto traslucido a legare le opere in mostra; proprio questa impressione acquorea e opalescente assicura alla mostra una speciale omogeneità percettiva che allaccia dipinto e sculture. Strettissimo e suggestivo risulta, infatti, essere il rapporto tra pittura e opere vitree: non solo l’una richiama l’altra concettualmente nel porsi come esemplificazione dell’origine dall’acqua -fil rouge concettuale della mostra. Ma ancor più significativamente l’una è il corrispettivo plastico dell’altra: giocati entrambi sull’effetto di trasparenza i due linguaggi espressivi si potenziano vicendevolmente, rendendo la mostra un atto comunicativo coerente, capace di condensare, se non l’infinito, almeno parte della ricerca artistica di Ciacciofera.
f.: S. Anzini
Il capitolo ospitato al Maga è sviluppato su tre sezioni, collegate ai “viaggi dell’artista alla ricerca di forme archetipiche alla base di culti e identità di popoli”. A Gallarate il focus espositivo sposta un poco più avanti la lancetta della Storia: dall’origine della vita (messo in scena a Milano) alla storia dell’Uomo che ha già iniziata la sua avventura di civiltà, affacciandosi ai misteri dell’esistenza: il divino, la generazione, la vita, la morte, la natura. La rievocazione, in questo caso, è affidata all’archetipo del menhir e del totem. La prima sezione è composta da grandi sculture in vetro sabbiato riunite in una composizione che alterna elementi verticali a forme sferiche (slanci celesti, terrene fatiche, misteri generativi…), alla ricerca di un ritmo compresso, o forse condensato. La seconda sezione raccoglie una babele di totem e coloratissime edicole votive, evocanti un’epoca in cui tutti gli ambiti dell’esperienza umana si confondono e compenetrano. Molti di questi lavori, costruiti a modo dei lavoretti fanciulleschi, si disperdono nella ricchezza dei dettagli e sono realizzati, in omaggio all’ideologia ecologista e all’idea di sostenibilità, con riuso di imballaggi e materiale destinati allo scarto recuperati dall’artista sardo nel suo studio. Pervadono questa sezione suoni registrati in presa diretta dalla natura e rielaborati elettronicamente a costituire un’opera sonora realizzata appositamente per la mostra gallaratese.
f.: courtesy dell’artista Allestimento della seconda sezione al Maga.
f.: S. Anzini
Infine il terzo ambiente è occupato da un’installazione site-specific: un grande cerchio di muschio sul quale sono poste numerose sculture ricalcate sulla forma della mano dell’artista: un dettaglio autobiografico che lega “il microcosmo di Ciacciofera con il macrocosmo delle narrazioni universali”. L’opera dialoga con un trittico dall’atmosfera rarefatta e un poco surreale: su campiture omogenee spiccano fogge semplificate di pesci di umane forme di piedi di coni che sono busti femminili, forse, di scale di scatole con occhi di libri… forme, insomma, che potrebbero essere simboli, ancora forse. L’esibizione, nel complesso, non lascia il segno.
Dell’appendice aeroportuale -non personalmente visitata-, infine, riporto quanto scritto nel comunicato. A Malpensa “si potranno ammirare delle sculture murali Janas Code emblematiche della produzione di Ciacciofera. Ritmate da linee perpendicolari che evocano gli assi dello spazio e del tempo che, intersecandosi, ne formano il reticolo, queste opere sono create a partire da un materiale di costruzione, a cui viene attribuita una nuova significazione, ma la cui funzione originaria di supporto è preservata.”
Galleria Building, via Monte di Pietà 23, Milano – 16 gennaio ¦ 17 febbraio 2024
Museo Maga, via Egidio de Magri 1, Gallarate – 17 dicembre 2023 ¦ 7 aprile 2024
Aeroporto Milano Malpensa Terminal 1
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