Aleggiano fantasmi tra le ampie navate dell’HangarBicocca che ospita (fino al 30 luglio), a cura di Vicente Todolí, la mostra “NOw/here” di Gian Maria Tosatti (Roma, 1980; vive e lavora a Napoli). Ectoplasmi evocati dai due grandi cicli pittorici con cui l’artista ha deciso di misurarsi per questa sua particolare retrospettiva (che è definibile tale solamente perché i lavori ‘incarnano’ i sentimenti che l’artista ha attraversato nel recente passato, non perché la mostra ripercorra il percorso artistico di Tosatti). Cicli di dipinti che richiamano presenze dai fondi oro di Bisanzio fino (e soprattutto) all’informale e al minimalismo novecenteschi, passando -se vogliamo lasciarci guidare da certe suggestioni cromatiche- per i cieli corruschi e incendiati di Turner. Ma non sono questi spettri a preoccupare; vi è, piuttosto, una presenza assai più inquietante che volteggia e vela tutte le quattordici opere esposte: è quella del Discorso che le racconta ma che per fortuna non impedisce alla loro semplice ma oggettivamente maestosa bellezza di dispiegarsi liberamente. Sono “sudari” -dice Tosatti- che raccolgono le “ferite e i sanguinamenti” che il peregrinare per terre difficili quali Russia, Turchia e Ucraina ha impresso nell’anima dell’artista e che, saliti “nelle regioni dello spirito”, divengono addirittura “tracciati cardiografici del sentimento del nostro tempo” cercato e interrogato là dove Tosatti ritiene che ne dimori la “verità”: “per strada, non nei circoli intellettuali. Questa è la formula per cercare un po’ di verità: non andare nelle grandi costruzioni ma chiederla a tutti, senza distinzione.” Ma queste parole, profonde e quaresimali, restano nell’orecchio che ascolta e non giungono all’occhio che guarda, perché questa è, a conti fatti, arte visiva. E così esso, l’occhio, esplora i due cicli presentati.
I Ritratti (del 2022), grandi pannelli di ferro montati su strutture tubolari tali e quali a quelle della cartellonistica pubblicitaria urbana (il motivo per questa scelta è da ricercare, presumibilmente, in quella ricerca ‘stradale’ dello spirito del nostro tempo) la cui superficie è contesa dall’oro lucente della foglia d’oro e dal cupo fulvo delle inflorescenze e ramificazioni della ruggine; le due entità, ora assorbendo ora riflettendo la luce, sembrano avvilupparsi l’una sull’altra. Poi, la serie NOw/here (2023) tele minimaliste sulle quali l’omogeneo alternarsi delle due campiture grigie di grafite, disposte classicamente con il tono più scuro e grave nella parte inferiore e quello più chiaro ed aereo nella porzione superiore a ricordare un orizzonte notturno, è spezzato dalla presenza di punti in carboncino bianco, quasi una costellazione padrona di un cielo sconosciuto (“Luci che sono venute a guardare chissà cosa” le definisce l’autore. Un particolare, quello di questi punti luce, che sembra trovare particolare favore nell’attuale produzione dell’artista, dato che lo ritroviamo anche in altre opere di quest’anno come Storia della notte e del destino delle comete). L’occhio le percorre con piacere, trova il dettaglio, e poi una concrezione peculiare, e poi ancora accelera l’andatura trascinato dal fluire della luce, finché un inciampo visivo non ne altera il ritmo. E poi ancora ad esplorare… dimentico -diciamolo chiaramente- di essere al cospetto, teoricamente nelle intenzioni dell’autore, delle contingenze del nostro tempo, lasciandosi piuttosto interrogare dalle più ovvie eppure universali e conviventi opposizioni con cui l’Uomo ha a che fare da sempre: corruzione/corruttibilità (indicata anche da Tosatti); Idea e sua realizzazione fenomenica; stasi/moto; permanenza/caducità; divino/mondano.
Tutto ciò in un percorso allestitivo serio, compiuto, raffinato, spettacolare e suggestivo. Le opere, infatti, sono presentate, perfettamente illuminate, in una penombra silenziosa, come silenziose possono essere solo certe chiese in certi momenti, in cui la fiammella del Santissimo si oppone -sola con la sua tremolante forza- all’avanzare crepuscolare del buio dalle vetrate. Ed è proprio in questa modalità espositiva -se è lecito distaccarci un poco da questioni più strettamente artistiche; ma se l’arte non consente di aprirci al mondo, che arte è?-, è proprio piuttosto la scelta allestitiva -si diceva- ad aprire uno spiraglio sullo spirito della nostra era. Un tempo che ha -non è una novità- ucciso Dio, speranzoso di emanciparsi. Ma gli dei -è noto- sono refrattari alla morte e il cadavere del dio assassinato è ancora lì: non marcisce e non si dissipa. Allora il mondo che si ritiene maggiorenne non può far altro che occultarlo, coprendolo di cascami e simulacri, elevando altro (che sia il danaro o il desiderio tramutato in diritto o il mercato o l’arte o il coacervo di tutto questo e altro ancora) a ruolo di valore trascendente, e come accade dalla notte dei tempi, imbastendoci attorno storie ed epiche, racconti e liturgie che aggancino l’esistenza umana a un quid che, in qualche modo, la superi.
In questa retrospettiva dunque l’artista romano sceglie una forma inusitata per il suo discorso artistico: opta per la “dimensione pittorica”. La sceglie perché “l’idea di fare una retrospettiva per un artista è molto noiosa” ed inoltre ogni passo che egli fa “deve mettere a rischio quello che si è guadagnato”, afferma in conferenza stampa; da qui la volontà di misurarsi con la pittura scombinando il suo modus operandi più tipico che si focalizza, solitamente, sulla creazione di paesaggi atemporali, architetture immersive e poetici ambienti. Perciò la pittura; ed entro questa si serve di una grammatica tuttavia largamente conosciuta, poco rischiosa e compresa (almeno per chi segue il panorama artistico moderno e contemporaneo), sbilanciandosi sulle dimensioni (tutte ragguardevoli: da 1,5×3 a 3×6 m.), sfruttando il fascino dell’oro ed inevitabilmente del suo valore extra-artistico, per realizzare belle opere che sembrano a loro agio più a New York che a Napoli, più nell’attico che per la strada.
Una notazione conclusiva sul titolo, NOw/here, la cui ambiguità viene sciolta da Tosatti disgiuntivamente: a seconda di come si legge può essere now e here, “adesso” e “qui” e perciò ti senti presente al qui e all’ora oppure ti senti disperso, nowhere. Ma potrebbe anche esserci una lettura congiunta, più drammatica e spiacevole: non è forse esattamente “qui” e “adesso” la terra in cui sentirsi dispersi?
Pirelli HangarBicocca, via Chiese 2, Milano – 23 febbraio ¦ 30 luglio 2023
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