Se Pirelli HangarBicocca abbia intrapreso un percorso espositivo decisamente interessante e, in fondo, non scontato e forse anticipatorio di una certa atmosfera non solo artistica lo si vedrà nel prossimo futuro; per il momento si può apprezzare la bella restrospettiva di Chiara Camoni (Piacenza, 1974) dal lungo titolo “Chiamare a Raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” (fino al 21 giugno, a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli). Il lavoro più bello in questa esposizione è: la mostra stessa. È la scrittura allestitiva, operata a più mani, che, infatti, esalta la coerenza e l’organicità delle singole opere, già significative singolarmente (almeno la maggior parte).
L’allestimento richiama un sito archeologico: delle costruzioni un tempo presenti rimangono solo vestigia perimetrali, le basi murarie (rappresentate da serpenti di pietra, Serpenti e Serpentesse, 2024), frammenti di pavimentazione (Senza titolo (mosaico), 2024), e poi oggetti quotidiani concentrati in ripostigli, altari votivi (Selezione di piatti e brocche, 2021-24), resti di tappeti (Living Room, 2019-24). Ma non è una città morta, è anzi visitata da presenze terrene: serpenti, gufi, leoni, cani e, ovviamente, visitatori; soprannaturali: spiritelli (come: Senza titolo (in autunno) #06, 2017, dipinti su tele ed arazzi con coloranti vegetali); e misteriose creature notturne vagamente antropomorfe (la serie Sisters, dal 2019; realizzate con migliaia di elementi in terracotta e inserti vegetali) dai volti rapaci di gufi e civette tutt’altro che rassicuranti. Come gli spiritelli, anch’esse abitano il nostro mondo: genii loci, che esprimono l’essenza del luogo e solo rispettandoli si può creare il bello, e anche il giusto; e con cui l’Uomo -prima che espungesse dal suo orizzonte esistenziale lo spirito e l’invisibile, inaugurando il regno del nichilismo materialista- ha sempre stipulato intese e sviluppato convivenze.
Ecco Chiara Camoni cerca forse di reincantare un mondo, di renderlo nuovamente un luogo dove l’invisibile partecipa della materia, magari tenuto rispettosamente a distanza. Varcare la soglia segnata da Leonesse, 2024 (sculture in pietra leccese) significa entrare in un iperluogo, una zona liminare che tiene insieme tempi e universi diversi. Un mondo in cui il lavoro quotidiano (la Camoni riprende nella sua ricerca pratiche artigianali come la tessitura e la ceramica) si accompagna a prassi magico-rituali (anche crude: Burning Sister, 2023), ma non ridotte a mero folclore; in cui usi pagani innestano reminiscenze cristiane (i serpenti e la foggia di Sister (Capanna), 2022 in cui risuona il manto della madonna pierfrancescana). Un mondo, infine, che esprime una poetica non estranea a questioni di genere (e anche generazionali) ma non del tutto consonati alle modalità con cui queste stesse problematiche vengono discusse nell’attuale società: direi infatti che l’artista attinge ai giacimenti di un femminile primigenio e originario; complementare alla polarità maschile.
Dalla retrospettiva emerge lo spiccato senso scultoreo di Chiara Camoni, in cui si evidenzia pure un caratteristico e paziente approccio ‘modellistico’ nell’assemblaggio dei numerosi singoli elementi che vanno a costituire le opere; senso che si rinviene anche nei lavori pittorici presentati in configurazioni tridimensionali che selezionano precise porzioni spaziali. L’allestimento intero è poi una sorta di scultura che richiama le forme dei “giardini all’italiana tardorinascimentali”. Se il richiamo a questi ultimi è coerente con gli aspetti formali della mostra, il residuo contenutistico trova sostegno in un altro tipo di arte topiaria: il ‘bosco sacro’ riproposto in certi parchi rinascimentali (come Boboli e Bomarzo), popolati da statue stupefacenti e inquietanti che osservano i visitatori di tra le frasche indisciplinate e la sciablacca muscosa che le ammanta.
Affiorano dal vasto mare dell’originalità della Camoni, la cui arte pare mediare tra la sensibilità lirico-poetica della tradizione italiana (di cui recupera, in un certo senso, anche il confronto con la storia mediterranea attraverso evocazioni archeologiche) e le istanze minimalistico-concettuali del secondo Novecento (americano, in particolare), lacerti di queste ultime: la fisicità delle opere come oggetti nello spazio (esplicitata senza timore nell’allestimento); la serialità, ma intelligentemente giocata contro sé stessa con le teorie di vasi su cui lo stigma artigianale si imprime su ogni esemplare; gli accostamenti non sconosciuti alla Land Art nelle pitture vegetali che “contengono” -lo dice l’artista- i paesaggi da cui le essenze sono state raccolte.
La mostra, mi piace osservare, svela il confine tremulo tra una società che si vuole moderna e progredita e una antica, incantata che si vuole arcaica e sorpassata. Eppure, entriamo sorvegliati dalle due fiere selvagge e usciamo accompagnati dagli animali domestici per eccellenza: due cani (Cani (Bruno e Tre), 2024).
Pirelli HangarBicocca, via Chiese 2, Milano – 15 febbraio ¦ 21 luglio 2024
Add Comment