Tra Casalpusterlengo e il mondo.
Per una biografia di Ottavio Steffenini
di Elena Pontiggia
Artista inquieto e imprevedibile, nonostante la placida sensualità delle sue figure, Ottavio Steffenini (Cuneo 1889-Milano 1971) è un pittore oggi dimenticato che meriterebbe invece di essere meglio conosciuto. La sua pittura si concentra soprattutto sulla figura femminile, ritratta ora con velocità di grafia, ora con un’opulenza influenzata dai maestri spagnoli. Giuditte, odalische, Susanne al bagno, madri con bambino, fiorenti modelle costituiscono il suo sterminato gineceo, in cui il naturalismo si coniuga con suggestioni rinascimentali e la voluttuosa volumetria si accompagna alla ricerca di un colore carico di luce. Tintoretto, Velàzquez, Delacroix, Renoir sono i maestri cui guarda maggiormente, ma quello che gli interessa soprattutto è un incessante inno alla vita, alla donna, alla natura: le sue opulente bellezze, Veneri solenni o quotidiane, esprimono un continuo sogno dell’età dell’oro, una venezianità senza tempo ripensata visionariamente e fatta rivivere dimenticando (o piuttosto medicando) le asprezze e le tragedie dell’esistenza.
La sua biografia, tra l’altro, riserva molte sorprese, anche perché la sua vita cambia continuamente sfondi e scenari, dividendosi fra l’Italia, l’Europa, l’America. Vediamola più da vicino con qualche analiticità, visto che le sue vicende sono quasi sconosciute.
Ottavio Steffenini nasce a Cuneo l’8 agosto 1889, secondo di tre figli. Suo padre, Giovanni, ex-garibaldino, è ingegnere delle ferrovie, e ha progettato, fra l’altro, la galleria elicoidale fra Vernante e Limonta in Piemonte. La famiglia abita nell’elegante palazzo Piolti, al centro della città. La vita familiare è però funestata da gravi lutti: la madre muore ancora giovane, e così il fratello maggiore dell’artista, che scompare poco più che adolescente.
Nel 1904 Steffenini inizia gli studi classici nel liceo cittadino. Subito dopo, però, nel 1910, il padre viene trasferito a Roma e si sposta nella capitale con la famiglia. Qui l’artista, terminato il liceo, si iscrive al Politecnico. Asseconda intanto la sua passione per la pittura, frequentando lo studio del pittore Bernejo. Ricorda lui stesso: ”Ebbi un padre garibaldino e ingegnere, il quale mi obbligò, e giustamente, a frequentare il liceo e poi a iscrivermi alla facoltà di ingegneria. Detti diversi esami, presi un ventisette in geometria; ma un bel giorno, ecco, piantai tutto e me ne andai in Spagna” 1.
Infatti, nel 1912, decide di partire per la Spagna. Ricorda un critico del tempo, Emilio Bissoni: ”Un bel giorno del 1912 un giovanotto, a Roma, s’avviava colla sua valigia alla stazione; fu incontrato dal nostro Ottavio, suo amico. ‘Dove vai?’ ‘In Spagna a studiare pittura’ ‘Vengo anch’io’.[…] Ottavio Steffenini partì allora per la Spagna e da quel giorno è dubbio se l’Italia ebbe un mediocre ingegnere di meno, certo un valente pittore di più”2.
In Spagna frequenta gli studi di vari pittori, tra cui Benedito, Sorolla y Bastida, Lopez, Masquita. Ma soprattutto vede da vicino il Greco, Velazquez e Goya, che considererà sempre “il Dio della pittura”3. Conosce anche l’arte spagnola moderna, allora famosa, di Anglada, Fortuny, Zuloaga.
Nella primavera del 1914 partecipa per la prima volta a una mostra, esponendo alla Esposizione Internazionale di Madrid, nella sezione degli artisti stranieri. Intanto prende parte anche ad alcune corride. “Io il torero lo feci veramente, non racconto storie: prima partecipando alla cosiddette novilladas, cioè corride minori nei paesi, poi nelle arene vere e proprie. Tutti mi dicevano che sarei diventato un grande torero, che avrei fatto i milioni. Ero amico di Juan Belmonte…”4.
In particolare scende nell’arena al “Sobaquillo” di Valencia. “Descendendo un poco, vamos a parar en O.Steffenini, pintor italiano que quiere ver los toros de cerca y saborear las delicias del peligro. Ya sabe saltar la barriera par si acaso ve el peligro más cerca de lo que el pensaba” nota una rivista locale, mentre “El guante blanco”, un’altra rivista di Valencia, pubblica un vivace ritratto del giovane artista-torero 5.
Nel 1915, allo scoppio della guerra, torna in Italia e si arruola. Diventa capitano dei Bersaglieri. “Da bravo figlio di un garibaldino, tornai in Italia per lo scoppio della guerra. Andai al fronte, capitano dei bersaglieri e mi misero all’ufficio censura. Ma subito rifiutai, dicendo: ‘Mia madre mi ha insegnato a non leggere le lettere altrui, e qui io non ci resto’. Mi mandarono a combattere”6. Combatte infatti “in prima linea in Libia e in Italia” 7 finché nel 1919, congedato, si trasferisce a Milano.
Nel clima drammatico, ma culturalmente e artisticamente vitalissimo, della Milano del dopoguerra, compie le prime esperienze espositive italiane, presentandosi tra il 1920 e il 1921 alle mostre annuali primaverili e ai Premi Brera alla Permanente.
Sono invece del 1922 le prime partecipazioni prestigiose, alla Fiorentina Primaverile e alla Biennale di Venezia 8. Sempre nel 1922, in ottobre, è presente al Premio Brera alla Permanente, dove vince il Premio Canonica per Bagnante e riceve gli elogi di Carrà 9.
Ancora nel 1923 partecipa alla Quadriennale di Torino (Contadini; Allo specchio), mentre alla Biennale di Venezia espone Due Susanne, che suscitano numerosi commenti critici 10.
Nel 1926, mentre continuano le mostre 11, è tra i primi frequentatori dell’osteria di via Bagutta, insieme con Riccardo Bacchelli, Orio Vergani, Paolo Monelli, Vellani Marchi, e altri intellettuali e artisti. Nel novembre 1927, nel giorno di S. Martino, poco dopo aver partecipato con successo alla Biennale di Brera alla Permanente 12, è anzi tra i fondatori del Premio Bagutta, da destinare a un’opera letteraria italiana. Nel libro Bagutta Marino Parenti così lo descrive: ”Ottavio Steffenini, esuberante di entusiasmi e di energia, con gli occhietti pungenti e la piccola bocca quasi mai imbronciata, sempre pronto ad accogliere con la più schietta e chiassosa ammirazione le freddure ferravilliane del lungo e sparuto Del Curto” 13. Sul libro compaiono i suoi ritratti caricaturali, disegnati da Vellani Marchi.
E siamo al 1928, quando torna a partecipare alla XVI Biennale di Venezia esponendo Sole e Nel granaio, e ricevendo numerosi commenti favorevoli, da Costantini a Ojetti, da Calzini a Nebbia 14.
Subito dopo, nel 1929, entra nel Direttorio del Sindacato Fascista Lombardo di Belle Arti, composto anche da P. Bossi, Carpi, Carrà, Funi, Ghiringhelli, Prada, Salietti, Sironi, Tosi e Wildt.
Sempre nel 1929, in maggio, è invitato alla Esposizione Internazionale d’Arte, che si tiene a Barcellona, dove espone Madre e viene premiato con una medaglia d’argento. L’opera è acquistata dalla Galleria d’Arte Moderna di Madrid. Dal catalogo, fra l’altro, risulta che il suo studio è in via Cappuccini 8, a Milano.
Non si ferma, comunque, la sua vivace attività espositiva, tra cui va registrata nel 1930 una personale, con Monti e Bucci, alla Galleria Pesaro, recensita elogiativamente da Sironi. Nel novembre-dicembre 1931, poi, tiene una mostra a Caracas, esponendo 21 opere, tra cui un ritratto di Simon Bolivar.
Probabilmente in questa circostanza trascorre un lungo periodo in Venezuela, eseguendo alcuni affreschi su invito del governo venezuelano. Disegna inoltre il bozzetto per un monumento a Simon Bolivar. Lasciato il Venezuela si reca poi sulle rive dell’Orinoco a cercare l’oro.
Non si sa precisamente quanto duri il periodo venezuelano, forse fino al 1933, quando riprendono fitte le mostre italiane. In ogni caso, nel 1937, da una lettera indirizzatagli dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma, risulta risiedere a Casalpusterlengo, dove si era stabilito suo padre. “Se gli ricordate il paese natio, vi parlerà subito di Casalpusterlengo, dove non è nato, da dove non provengono i suoi avi, ma dove visse a lungo suo padre ingegnere, dove egli visse abbastanza da lasciarci il cuore. La vecchia piazza, le case bianche, le cascine ove i banchetti erano chiassosi e traboccanti, gli amici con i quali si accazzottò per stringere poi con loro di più l’amicizia, lo legano a tempi indimenticabili”, scrive il critico Franco Fraschini 15.
Alterna comunque i soggiorni casalesi a lunghi viaggi, oltre che nell’America Centrale, in Europa: in Belgio, Olanda, Lussemburgo. E intanto continua a frequentare l’osteria di Bagutta 16.
Nel 1938 vince una cattedra di pittura al Liceo Artistico di Brera. “Chiamatelo professore ed egli vi sorriderà raccontandovi, se è in vena, che un giorno, reduce dall’America, passando davanti a Brera, vide il bando di concorso per una cattedra di pittura. Vi partecipò non senza ambizione, ma poco convinto: vinse e salì in cattedra” scrive ancora Fraschini 17.
Sempre nel 1939 si impegna nella pittura murale, in sintonia col programma sironiano ed esegue l’affresco L’imperatore Marco Aurelio per il Palazzo di Giustizia costruito da Piacentini a Milano. Nel 1942, alla XXIII Biennale di Venezia, è invitato con una sala personale 18.
Anche nel dopoguerra è attivo, sia pure in un cono d’ombra, come molti artisti della sua generazione: nel 1948 alla XXIV Biennale di Venezia presenta due opere: Paesaggio (1948) e (Ballerina); nel novembre-dicembre 1950 è invitato a esporre a Pittsburgh; nel dicembre 1951 tiene una personale alla Galleria Gian Ferrari. Ma non è ancora stanco di viaggiare, e nel 1954-56 soggiorna per oltre due anni in Venezuela, spostandosi anche nelle Antille. Nel giugno 1956, prima di rientrare in Italia, tiene una grande mostra di 49 opere a Maiquetia, una cittadina venezuelana, presso la grande villa di Luis Tany, un ingegnere suo amico. Nel 1957, in novembre, tiene una personale alla Galleria Gussoni di Milano, con una presentazione di Orio Vergani. E nel 1965 si sposa con Ines, che diviene la modella di tanti suoi quadri. Continua a dipingere finché, colpito da enfisema polmonare Ottavio scompare a Milano, l’8 settembre 1971.
La sua pittura è sempre rimasta fedele al sogno di bellezza, di rigoglio, di opulenza visionaria che aveva coltivato fin da giovane. E’ una pittura felice, ma mai facile o superficiale. E colpisce, guardando adesso le sue opere, pensare alla lunga dimenticanza che le ha avvolte: per ragioni non artistiche, ma ideologiche. Perché l’ideologia della sua pittura (una figurazione innamorata dei Veneti e degli Spagnoli) non combaciava con lo spirito dei tempi.
NOTE
1⇑E. Fabiani, Dipingo soltanto per amore, “Gente”, Milano, 30 marzo 1970 (ripubblicato in Ottavio Steffenini, catalogo della mostra, Milano, Galleria Ponte Rosso 1976, p.2).
2⇑E. Bissoni, Un maestro del colore. Ottavio Steffenini, “Subalpina”, Cuneo, I, n.4, aprile 1928.
5⇑“Sobaquillo”, n.17, Valencia, 19 giugno 1914; “El Guante Blanco”, Valencia 10 giugno 1914.
8⇑Alla Fiorentina Primaverile a Firenze a Palazzo S. Gallo (8 aprile – 31 luglio 1922), espone Sogni e impressioni. “Ottavio Steffenini quasi nuovo alle esposizioni si acquista un posto di prim’ordine” nota Calzini (R. Calzini, La fiorentina primaverile, “L’Illustrazione Italiana”, XLIX, n.21, Milano, 21 maggio 1922, p.597). Alla XIII Biennale di Venezia (aprile-ottobre) espone Dopo il bagno e Mattino. Scrive Sapori:” Ad un realismo altrettanto gioioso obbedisce Ottavio Steffenini, che presenta una donna sdraiata e ignuda, Dopo il bagno” (F. Sapori, La XIII Esposizione d’Arte a Venezia -1922, Bergamo 1922, p.39). E ancora Calzini parla di “due nudi superbissimi” (R.Calzini, Passi perduti e commenti, “L’ Illustrazione Italiana”, numero speciale, Milano, ottobre 1922, p.24).
9⇑C.Carrà, Le premiazioni alla “Permanente”, L’Ambrosiano, Milano, 19 gennaio 1923.
10⇑Nota Galassi: “Di certo sapore quattrocentesco è la costruzione delle Due Susanne dello Steffenini” (G. Galassi, Le affermazioni dei giovani, “Il Corriere Italiano”, III, n.120, Roma, 20 maggio,1924). “O. Steffenini, che aveva stupito col suo audace modo di riempire il quadro con la carnalità di solide femmine piacenti, tende ora a ripetersi sulla traccia di un motivo già da lui sfruttato anche passando da un’atmosfera di tinte calde a una variazione di toni madreperlacei”, obietta Calzini (R. Calzini, Personalità e tendenze di pittori italiani, “Il Secolo”, Milano, 17 maggio 1924). “Il nudo ha stretta attinenza col realismo che imperversa, e perciò rivediamo sulla tela le adipose e stanche carni delle Due Susanne di Ottavio Steffenini, dal colorito spento e calcinoso (come sarebbe inadeguato il confronto con le Bagnanti del Courbet…)” scrive Foratti (A. Foratti, Alla XIV Biennale di Venezia. Ricordi ed impressioni, “Cronache d’arte”, luglio-agosto 1924, p.218). “Le Due Susanne di Steffenini s’aprono con le loro belle membra come fiori opulenti e carnali. Sono di conforto al visitatore errante che ci si allieta e si potrà riposare gli occhi […] Benché alquanto affrettate queste due nude sono solide, ben composte e impiantate con tanta larghezza e spontaneità da mantenerci intera la speranza che si ha in questo giovane pittore istintivo e gagliardo” osserva più generosamente Torriano (P.Torriano, La XIV Biennale di Venezia, “L’Illustrazione Italiana”, numero speciale, 1924). Nebbia, infine, nota i “grossi nudi carnosi e squadrati delle Due Susanne” (U. Nebbia , La quattordicesima biennale veneziana, “Emporium”, vol. LIX, n. 353, Bergamo, maggio 1924, p.296).
11⇑Nell’ottobre 1925 partecipa alla Esposizione Biennale di Brera. Torriano segnala ”O. Steffenini, il quale dipinge con bella risolutezza e impeto, ma qui apparisce alquanto affrettato” (P.Torriano, La mostra di Brera,”Emporium”,vol.LXVII, n.375, p.329). Nel 1926 (18 luglio-22 agosto) partecipa alla I Esposizione Provinciale di Belle Arti di Cuneo, dove espone 10 opere (Galleria: 22. Costumi russi, 23. Covancina, 24. Studio, 25. Contadina, 26. Nudo, 27. Giudizio di Paride, 28. Ritratto, 29. Il confratello, 30. Il suonatore della valle, 31. Stalla).
12⇑ Nell’ottobre 1927 espone Donne al sole alla Biennale di Brera alla Permanente, riscuotendo i consensi critici di Torriano e Carrà. Nel giugno 1928 partecipa (con Bucci, Dudreville, Funi, Sironi, salietti, Monti e altri) alla I Mostra degli Artisti di Bagutta, presso la sede della Fiera Letteraria, in Piazza S.Carlo a Milano. Espone La madre e Silvia che si contempla nel lago. In autunno (18 novembre-30 dicembre) espone alla I Mostra Regionale del Sindacato Fascista di Belle Arti di Lombardia (Milano, Permanente) Al mare.
13⇑M.Parenti, Bagutta, Milano 1928, p.105.
14⇑V. Costantini, Le mode di oggi, “La Fiera Letteraria”, Roma, IV, n.19, 6 maggio 1928; U.Ojetti, La XVI Biennale a Venezia, ”Corriere della Sera”, 25 maggio, 1928; R. Calzini, La XVI Biennale di Venezia, “Emporium”, Bergamo, settembre 1928, p.139; U. Nebbia, La XVI Esposizione Internazionale d’Arte. Venezia MCMXXVIII, Alfieri e C., Milano-Roma, 1928, p.25.
15⇑F. Fraschini, Ricordo di Ottavio Steffenini, “Libertà”, 10 settembre 1931.
16⇑Nel dicembre 1936 espone una Composizione alla Galleria Pesaro, alla mostra “Artisti di Bagutta”, in occasione del decennale del premio omonimo. Nel dicembre 1937 espone a Torino alla Galleria Martina alla Mostra degli artisti di Bagutta. Nell’agosto 1938 partecipa con tre (o cinque?) opere alla “I Mostra del paesaggio spotornese” (detta anche “Bagutta-Spotorno” perché organizzata con l’adesione del gruppo milanese di artisti e intellettuali che si riunivano all’osteria di Bagutta) che si tiene a Spotorno. Una delle opere ottiene un premio-acquisto.
18⇑Espone 15 opere: Sogno romantico, La sorgente, Costume, figura, Marianna, Ritratto di bambina, Vitellino, Mio padre, Spagnuola, Nudino n.1, Odalisca, Nudino n.2, Riposo. Scrive Nicodemi: “Chi voglia rintracciare le origini di Ottavio Steffenini stenterà a ritrovarle nei suoi maestri, Pietro Gaudenzi in Italia, il Sorolla nella Spagna, tanto più alta delle esperienze acuistate in un vario e vasto pellegrinare è la sua capacità di penetrare la sostanza delle cose con una grandiosità piena di corpo, esalata da un colore basso, e caldo di una sensualità che, qualche volta, è frenata; ma è sempre agile, sveglia. I ritratti, le belle figure femminili che spiegano la loro franca opulenza, si muovono tutti in un’aura sana, felice di vita. La concordanza tonale lombarda, apparendo nel Ritratto di bambina, nei Nudi, nella Sorgente, nel Riposo, qualche volta come nella Spagnola è rialzata da accordi rilevati con larghezza e fa ricordare le antiche traduzioni fatte da maestri lombardi secenteschi su opere di Tiziano e del Tintoretto. Messe in rapporto con le sue precedenti pitture queste sembrano passare da una tumultuosa esuberanza ad una riposata calma. La nobiltà di una purificazione ancora sensuale, ma altera e controllata, governa la nuova fase dello Steffenini” (G.Nicodemi, Gli artisti italiani alla XXIII Biennale,”Arte Mediterranea”, n.3-5, Firenze, agosto 1942, pp.50-51). Un Nudo viene acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” di Piacenza.
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