Interviste

Chiara Dynys

Chiara Dynys
ⓒ Giulio Romano

Chiara Dynys sei nata a Mantova qualche anno fa, adesso vivi e lavori a Milano. Ti sei avvicinata all’arte autonomamente e ti sei affacciata pubblicamente in questo mondo nel 1985 con una mostra al Castello Scaligero di Malcesine. Da allora, con il passaggio dalla tela a smalto e resina alla tridimensionalità, e esplorando vari ambiti, dall’inganno percettivo a tematiche socio-culturali fino al più recente interesse per la dualità (ossia il rapporto tra il sé e l’altro, tra l’altrove e il mondo), il tuo percorso si è aperto internazionalmente: hai esposto in Francia, in Germania e a New York, oltre che in Italia. Ma tu, quando hai cominciato a sentirti un’artista?

Ho cominciato a pensare che nella mia vita sarei diventata un’artista che avevo dieci anni, quando con vari materiali sperimentavo tecniche miste su semplici quaderni di carta. Sognavo di essere  un’artista già allora, anche se lo sarei diventata a tutti gli effetti solamente più tardi. Tra le esposizioni mi piace ricordare quella al Musée d’Art Moderne di Saint-Etienne nel 1991, alla Galerie de France nel 1993 e alla Cristinerose Gallery di New York nel 1996; le mostre al Bochum Museum del 2003 e al Kunstmuseum di Bonn l’anno successivo. In Italia sono state per me molto importanti: Luce negli occhi alla Rotonda di Via Besana a Milano del 2007 -la più grande personale che mi è stata dedicata- e, nel 2013, Simboli e geometrie in Piero della Francesca al Museo Poldi Pezzoli sempre a Milano, nella quale i miei “vetri” e “specchi” hanno fornito una lettura del San Nicola da Tolentino del maestro rinascimentale [NdA: Piero della Francesca]

Look at you, 2018-2019
(courtesy: Tommasi Arte Contemporanea, Milano)

Sei un’artista nota. Frequenti artisti e hai modo di confrontarti con essi? con chi, in particolare? 

Frequento e ho contatti con artisti di tutte le generazioni, da quelli che hanno iniziato a lavorare negli stessi anni in cui ho cominciato io a quelli delle generazioni più giovani che stanno sviluppando in questo momento il loro percorso artistico. Uno degli artisti che più amo e stimo anche dal lato umano è Domenico Bianchi, che sarà anche il curatore della mia prossima mostra alla galleria Casamadre di Napoli.

Ti esprimi con numerosi medium artistici, pittura, video, sculture-installazioni… cosa ti spinge a provare tutte queste modalità di espressione? C’è uno di questi mezzi artistici che ti è più congeniale?

È una questione d’ispirazione, direi. Mi sono congeniali quei materiali e quei mezzi che di volta in volta sono in grado di esprimere l’idea che ho in mente. Ogni progetto necessità del proprio linguaggio e, quindi, della forma artistica più adatta per esso.

Enlightening books, 2019 (courtesy: Galleria Building, Milano)

Possiamo dire che la varietà e molteplicità dei modi e delle forme con cui operi rispecchia la varietà e molteplicità dei modi con cui gli uomini entrano in contatto con la realtà che li circonda…

Sì, giusto. Questa molteplicità di forme rispecchia la varietà degli atteggiamenti con cui l’essere umano si relaziona col mondo, sia quotidianamente sia in momenti eccezionali. 

Quale è la molla che fa scattare l’idea che porterà all’opera? 

Come Pino Pascali, io ho centinaia di idee, direi una in ogni momento. Tra tutte queste idee, però, quella che si realizza è quella che per me è diventata un’ossessione continua e che quindi risulta per me necessaria.

L’artista con Kayeidos, 2020
(courtesy: Casamadre Arte Contemporanea, Napoli)

Le tue opere sono costruzioni complesse e tecnicamente necessitano di lavoro anche specialistico; hai dato vita ad uno studio che ti affianca nella realizzazione dei tuoi lavori. Mi puoi spiegare quale è il percorso realizzativo delle tue opere? Come è organizzato, insomma, il lavoro all’interno dello studio?

Il mio è un piccolo studio con collaboratori fissi e fidati che portano avanti il lavoro per il mio archivio e per la realizzazione dei progetti, che siano mostre o altre installazioni, tenendo anche i rapporti con gli straordinari artigiani che cerco davvero in tutto il mondo e che poi insieme a me costruiscono le mie opere

Ci sono artisti ai quali ti sei ispirata o ti ispiri? Se sì, per quale ragione?

Tra gli antichi sicuramente Piero della Francesca per le sue geometrie, Borromini per la preveggenza e Lorenzo Lotto per la profondità. Per quanto riguarda gli artisti contemporanei, tra i tanti amo molto, oltre al già citato Domenico Bianchi, il lavoro di Katherina Fritsch, un’artista che ha la capacità di riuscire a vedere a 360 gradi.

Sunrises Only Sunrises, 2019

Mi sembra di poter dire che in molte tue opere sia evidente l’ascendenza minimalista e concettuale, anche se, ovviamente, sviluppate secondo la tua personalità e lo sviluppo storico. Non sono più opere riduttive ed essenziali, anzi, sono ricche ed opulente, nei colori, nelle forme stesse e in molti dettagli. Sei d’accordo? Le poetiche minimaliste e concettuali che influenze hanno avuto sul tuo lavoro?

Trovo che queste ascendenze siano molto trasversali all’interno dei miei lavori. Non tengo alle geometrie delle forme: sono geometrie irregolari, è difficile individuarne un centro. Tendo invece alla perfetta esecuzione che rispecchia le mie intenzioni concettuali: nelle mie opere c’è la variazione, la storia.

In generale, condividi con altri le idee per le tue opere o sei una “solitaria” della creazione artistica?

Sono un’artista solitaria, come d’altronde la maggior parte di quelli della mia generazione che non hanno voluto iscriversi all’interno di un determinato movimento, ma che si sono espressi individualmente ognuno attraverso il proprio linguaggio.
Non c’è più un nemico, tanto per cominciare, quindi anche la coesione per combatterlo è scomparsa

Come nascono i titoli delle opere?

I titoli delle mie opere sono pure intuizioni, nascono spontaneamente.

La blancheur, 2020 (courtesy: Casamadre Arte Contemporanea, Napoli)

La luce nei tuoi lavori è un elemento chiave: cosa vuol dire per te luce? Cosa cerchi di trarne?

La luce nei miei lavori è l’elemento originario, anche quando si tratta di un soggetto dal tema sociale o fabulistico. È una luce che indaga e che è in stretta relazione con lo spazio e invita lo spettatore a compiere un passo in più, cioè ad attraversare quello spazio.

La bellezza di un’opera d’arte: dov’è? cos’è? È importante la bellezza in un opera d’arte?

Io credo che la bellezza sia un elemento involontario.

La critica d’arte e, a partire dagli anni ’90 del secolo appena trascorso, la curatela “affiancano” il lavoro artistico in un rapporto talvolta nebuloso e difficile ma sempre ricco di risvolti e di scambi in entrambe le direzioni. Semplificando brutalmente, un critico è solitamente un accademico, mentre il curatore è una sorta di artigiano che oltre all’aspetto teorico/divulgativo si occupa anche di questioni molto pratiche; tu ravvisi differenze tra l’uno e l’altro? Quale rapporto hai con i critici e i curatori? C’è qualche critico/curatore che tu apprezzi particolarmente? Ti confronti con essi nella fase di ideazione di un’opera?

Sinceramente non tendo a fare una grande differenza tra critici e curatori, quello che più mi interessa e che mi sta a cuore è che chi cura le mie mostre sia un compagno di viaggio e che mi conosca fino in fondo, come Giorgio Verzotti lo è e lo è stato molto in passato.

Segui direttamente l’allestimento delle tue mostre?

Seguo assolutamente l’allestimento delle mie mostre, penso che sia una parte integrante del mio lavoro, considerando che concepisco molti lavori come site specific.

Una domanda di stretta attualità: pensi che la situazione che stiamo vivendo, questa emergenza epidemia, avrà conseguenze sul tuo lavoro e in generale su quello degli artisti? Quali progetti per il prossimo futuro?

La mia opinione è che nel breve periodo avrà delle conseguenze a livello economico, ma credo che nel lungo periodo ci insegnerà molto: l’arte italiana dovrebbe iniziare a rafforzarsi nella considerazione che ha del sistema italiano. Questo ha avuto il difetto di aver confuso troppo spesso l’esterofilia con l’internazionalità. Essere internazionali significa anche saper esportare il nostro linguaggio e spero che questo incubo ce l’abbia insegnato.
Attualmente sto portando avanti questi miei temi in nuovi progetti, cercando sempre di sperimentare nuove forme e soluzioni visive.

Infine qualche domanda più personale: cosa temi di più? L’ultimo libro che hai letto e quello che tieni sul comodino. Scegli un oggetto e un’opera d’arte che, in qualche modo, ti possa rappresentare.

La cosa che temo di più è di non poter più fare il mio lavoro.
Gli ultimi libri che ho letto sono Maria. Ritratto della Callas di Nadia Stancioff e Fare un film di Federico Fellini, mentre l’oggetto a cui sono più legata è una cartolina raffigurante la mia opera preferita, ossia quella del passaggio di Palazzo Spada di Borromini a Roma. Tengo sempre questa foto sul tavolo del mio studio.

Grazie, Chiara.

Grazie a te!

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