In questo periodo in cui la gestione governativo-scientifica dell’emergenza sanitaria, colpevolmente, trascina con sé la paura del prossimo e impone l’allontanamento sociale come luogo della salvezza e della profilassi; come reagiremmo se ci trovassimo a meno del famoso metro dal nostro vicino o, addirittura, cosa succederebbe se in casa dovesse entrare un inaspettato visitatore? Probabilmente reagiremmo con lo stupore dei personaggi di questo quadro di Ilya Repin (1844-1930), intitolato L’inatteso.
Il pittore russo rivisita la pittura di genere in chiave fortemente realistica. Sulla sinistra, l’esule, punto centrale della composizione -illuminato alle spalle e alla sua destra dalla luce serena del giorno- è tornato con il cappotto fuori misura, emaciato, stanco, lacero, ma soprattutto timoroso di come verrà accolto. Magistralmente colto dal pittore, l’istante pregnante congela l’intera composizione in un preciso attimo, quasi fotografico: tutti avvertono quella presenza inattesa, sospendono le attività cui attendono e volgono lo sguardo al nuovo venuto. Siamo, noi spettatori, come accolti nel quadro, pienamente dentro di esso, da dietro l’anziana donna vestita di nero (forse la madre) che si alza titubante, cercando l’appoggio dello schienale, il nostro occhio è guidato dalle assi del parquet verso l’uomo, e poi dal suo volto a quello delle altre figure, come una vibrazione che dal centro della ragnatela si propaghi all’estremità, per poi tornarvi in un continuo gioco di rimandi.
Il quadro, oltre ad essere una presa di posizione politica nei confronti della Russia zarista e della sua gestione degli oppositori, è un mirabile catalogo d’emozioni: aperta la porta, la governante, occhi sbarrati, tradisce spavento e stupore, capisce che l’uomo è ora straniero ma non intruso; poi la madre, china, di cui solo possiamo intuire il volto scosso dall’apparizione; a destra, invece, i bimbi sospendono i compiti: lui spalanca gli occhi, sorride: “Papà è tornato!”, ma non riesce a gridarlo; la sorella, invece, è spaventata, lo guarda impaurita, rinserra la testa tra le spalle, le punte delle scarpine si toccano, non ricorda quell’uomo, sebbene la madre -questo sì, lo ricorda bene!- gliene abbia parlato più volte; quest’ultima, a sua volta, smette di esercitarsi al piano, si aggrappa al bracciolo così fortemente che le nocche si sbiancano, non crede ai suoi occhi, le parole, qualunque esse siano, le muoiono in gola…
Attento e profondo osservatore del mondo che lo circonda, Repin, da sempre interessato alla pittura della realtà, riesce a rendere con una pennellata sicura, che dimostra di aver assimilato la lezione luministica e cromatica dell’impressionismo, un’atmosfera chiara e luminosa che, tuttavia, stride con la tensione che pervade in modo evidente l’intera scena. Repin piega con maestria la pratica impressionistica alle sue esigenze realiste, equilibrando impegno sociale e capacità pittorica, in un quadro in cui possiamo agevolmente ricostruire nella nostra immaginazione gli istanti precedenti e quelli successivi al momento che il pittore ha scelto come punto topico dell’intera narrazione.
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